Hideo Kojima racconta il suo ultimo gioco attraverso una serie di interviste che fanno un po’ di luce sui significati di Death Stranding e sul legame del titolo con la sua vita privata.

Il gioco parla infatti dei legami e delle connessioni tra le persone, anche dopo la morte.

“Mi sentivo solo quanto parlavo anche con gli amici perché non mi capivano, volevo andare a casa e accendere tutte le luci perché avevo paura”, spiega Kojima nel corso di una intervista a Volture.

“Avevo così tanti amici a scuola, ma ero solo, non l’ho mai detto a nessuno, pensavo di essere malato”.

La solitudine è un tema portante nell’opera di Kojima e si esprime al massimo nel desiderio di connessione che si vive in Death Stranding.

Poi Kojima racconta un aneddoto molto drammatico.

Dopo l’uscita da Konami, Kojima aveva tenuto nascosto alla mamma, per non farla preoccupare, il nuovo progetto, deciso a parlargliene una volta ottenuto un po’ di successo.

Purtroppo la madre di Kojima è morta prima che potesse raccontarle del suo nuovo percorso.

Eccolo parlare dei “fantasmi nel gioco”; “forse i miei genitori sono tra loro, vedendomi in questo mondo”.
“Volevo che ci fosse questo tipo di metafora, ovvero che dentro di voi, siete tutti connessi con le persone che se ne sono andate”.

Un’intervista toccante che dimostra ancora una volta la levatura di un gioco che va ben oltre quello a cui il media ci ha abituati elevandosi ad opera d’arte, senza però perdere la grandezza del gameplay.

Death Stranding è un titolo particolare che potrebbe non convincere tutti, lontanissimo dal mainstream, l’opera di Kojima sembra seguire le orme del capolavoro di Nintendo: The Legend of Zelda – Breath of the Wild, sviluppandone le potenzialità e unendole a una trama eccezionale e a una narrazione mai vista prima all’interno di un mondo tra i più incredibili della storia del fantasy e della fantascienza.